(III domenica di quaresima – anno A)
Il drammatico interrogativo che spunta sulle labbra del popolo in affanno per la mancanza di acqua nel deserto non può che diventare anche la voce del nostro sconcerto in questi giorni di quarantena.
«Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» (Es 17,7).
Uscito dalla schiavitù, in cammino verso la libertà, il popolo è gettato dentro un’inattesa sofferenza. La realtà appare improvvisamente ostile, anzi terribilmente crudele. Dall’impressione di essere ormai salvi dai nemici, sicuri dentro la propria vita, ci si risveglia nell’incubo di poter morire da un momento all’altro. Questo fa nascere una ribellione e una protesta, anzitutto dentro, poi anche fuori. Il Signore ascolta il grido del suo popolo e gli rivela l’accesso a una risorsa presente ma nascosta. Mosè deve battere una roccia: uscirà acqua e il popolo estinguerà la propria sete. Chi ha organizzato l’esodo ha provveduto anche alle risorse per poterlo affrontare.
«Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Orbe; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà» (Es 17,6)
Questo scenario di difficile avanzamento nel deserto fa da sfondo all’incontro tra Gesù e la donna samaritana. Non può che sorprendere – per non dire creare sgomento – l’immagine di un Messia seduto al pozzo in pieno giorno, non con la forza e l’intraprendenza con cui i patriarchi frequentavano questo luogo di incontri nuziali, ma immerso in una assoluta debolezza, segno inequivocabile di chi ha deciso seriamente di partecipare senza sconti al nostro esodo.
Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo (Gv 4,6)
La sorpresa si dilata non appena il Signore inizia a dialogare con una donna sopraggiunta in quel luogo per attingere l’acqua necessaria alla sopravvivenza. Pur avviando con lei uno scambio seducente e coinvolgente, Gesù non si pone in un atteggiamento di superiorità. Anzi, non ha timore di manifestare non solo il suo bisogno, ma persino il suo desiderio di poter ricevere – non conquistare – qualcosa di necessario alla vita.
«Dammi da bere» (Gv 4,7)
Questa richiesta, così semplice eppure così disarmante, consente a questa a donna di aprirsi con una grande naturalezza, ma soprattutto con sorprendente profondità, arrivando a rivelare se stessa senza alcuna vergogna. Il solo modo per consentire all’altro di manifestarsi è quello di non nascondere mai la propria vulnerabilità di fronte alla sofferenza della vita, ma di farne un luogo di apertura e di accoglienza. Incontrando finalmente un’umanità – quella di Gesù – così tanto riconciliata e così poco rapace, la donna scopre che il dono di Dio è la possibilità di accedere a una sorgente interiore inestinguibile, all’unico prezzo di essere disposta a riconoscere la verità di se stessa. Fino a quando non scopriamo quale prezzo Dio è disposto a pagare per condurci oltre il deserto della vita, il nostro bisogno di bere non sarà mai adeguatamente risolto.
Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,6-8)
Al pozzo di Sicar la donna scopre dove si trova quella risorsa nascosta per continuare ad affrontare il deserto della vita, anche quando l’acqua e le forze vengono meno. La roccia da battere a ogni costo e con ogni residua speranza di cui disponiamo è semplicemente il cuore della nostra umanità, in cui è deposto fin dalla nascita – in quanto creature – e poi nel momento della rinascita – in quanto creature redente dal battesimo – la promessa di un Dio forse molto diverso da quell’immagine davanti a cui vorremmo tutti rassicurarci. Eppure non meno bello e affidabile di quanto la vita in questo mondo ci abbia già preparato a credere. Con tutti i suoi doni, che diamo per scontato; con tutte le sue sorprese; per le quali poco ringraziamo; con tutti i suoi combattimenti, nei quali può uscire il meglio della nostra umanità creata a immagine e somiglianza di Dio, con cui possiamo essere in pace per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,5)