Dopo essersi presentato, domenica scorsa, come «la porta» attraverso cui passare per essere salvi e trovare pascolo (Gv 10,9), il Signore Gesù, nel vangelo di oggi, dichiara di essere anche la «via», il sentiero indispensabile per accedere alla «verità» del Padre ed entrare così nella «vita» (14,6) dei figli di Dio. La strada, come metafora e come esperienza, è in grado di evocare non solo fascino e attrazione, ma anche paura e incertezza.
Cercando di accompagnare i suoi discepoli a percorrere con consapevolezza il cammino che conduce da questo mondo al Padre, Gesù si trova a dover fare i conti con il grande timore che regna nel cuore dell’uomo, quella paura profonda per cui immaginiamo la nostra vita come una lettera senza mittente né destinatario. A causa di questo sospetto radicato nel cuore, ci affanniamo nella ricerca di qualche segno d’amore in grado di assicurarci che, non solo siamo (ben) voluti, ma soprattutto attesi e desiderati: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (14,2). La notizia che esiste un posto riservato a noi – e non ad altri – è davvero necessaria per il nostro bisogno di appartenere a qualcuno e di aver diritto a una dimora a tempo indeterminato.
Dopo aver rassicurato l’animo dei discepoli con la speranza di un posto personale e sicuro, il Signore Gesù annuncia finalmente la strada come il luogo concreto in cui coltivare la fiducia e sperimentare la gioia di un’esistenza filiale: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via» (14,3-4). Quella indicata da Gesù è una «via» assai particolare: pur non avendola ancora percorsa, non possiamo che intuirne già in qualche modo la presenza e l’orientamento. Sono le successive parole a chiarire questo mistero, stabilendo una forte relazione tra la «via» e il Testimone unico del Padre: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (14,6). La strada con cui si oltrepassa la paura di vivere – e di morire – è lo stesso Signore Gesù, che si offre a tutti non come un’ideologia a cui aderire, ma come una persona insieme a cui affrontare la realtà, con la sua ineliminabile componente di complessità e di incertezza.
Solo la relazione con lui, l’ascolto umile e attento della sua parola, sono la vera risposta ai mille dubbi di orientamento che, ogni giorno, sono in grado di mettere in agitazione e in ansia anche gli spiriti più temprati. La risorsa della nostra libertà e la bussola del nostro intuito sono strumenti sufficienti per camminare verso il volto del Padre, sotto l’unica guida dello Spirito. Del resto, lo sappiamo bene, la strada, quando è buona, ti prende e ti porta con sé fino al punto di arrivo, senza il bisogno di essere continuamente verificata o messa in discussione. Come certi sentieri di montagna, talvolta impervi e interminabili, che però poi ripagano di ogni sforzo, perché sanno condurre tutti alla vetta con i suoi incomparabili paesaggi.
Non c’è dunque nulla da temere e nemmeno nulla da pretendere, se vogliamo vivere e abitare il nostro tempo come un’occasione di fare ritorno a Dio, camminando insieme a ogni uomo e donna di buona volontà verso il suo Regno. Non servono corsie preferenziali, né equipaggiamenti migliori di quelli di cui la vita e la provvidenza di Dio ci hanno dotato. Ciò che siamo – la nostra vita così come è adesso – si può aprire al disegno di Dio e alla sua misteriosa fecondità già in questo mondo: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). Dobbiamo solo entrare — seriamente e fedelmente — nel «numero dei discepoli» (At 1,7) che «obbediscono alla Parola» (1Pt 2,8). Allora diventa sufficiente la promessa del Signore: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1).