Il Signore Gesù se ne va, ascende al cielo. E a noi che rimane della sua splendida vittoria pasquale? Per accedere alla «grande gioia» (Lc 24,52) nascosta nella festa dell’Ascensione di Cristo, ogni anno dobbiamo compiere un cammino per nulla scontato attraverso le Scritture che annunciano questo grande mistero.
Liberi
Ma non era più utile rimanere quaggiù, in questo pazzo mondo così bisognoso di luce e di salvezza? Non sarebbe stato meglio se Cristo «dopo la sua passione» avesse continuato a mostrarsi «vivo, con molte prove», continuando a parlarci «delle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3)?! Evidentemente, no. Certo, avremmo avuto un formidabile arbitro sul terreno di gioco, ma la storia dell’umanità sarebbe stata meno libera, meno vera, meno responsabile. La vita della Chiesa, raccontata negli Atti degli Apostoli, si apre proprio con l’uscita di scena di Gesù dal palcoscenico del mondo, con il racconto dell’Ascensione, mistero di nascondimento che il Signore compie di fronte agli sguardi trasognati dei discepoli: «E mentre (gli apostoli) lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (1,9). Prima di questo definitivo viaggio, il Figlio di Dio diventato uomo offre un ultimo annuncio, un’estrema precisazione: «Sarete battezzati in Spirito Santo» (1,5), «riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (1,8). Mentre il Maestro si allontana, viene annunciata la venuta di una nuova e sconvolgente presenza di Dio nell’umanità. Una presenza capace di estendere i suoi confini fino alle estremità della terra. È questo il motivo ultimo dell’Ascensione: la discesa sulla terra completa e permanente dello Spirito Santo. Cristo è entrato «nel cielo stesso» per «comparire al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24) e così aprirci una «via nuova e vivente» (10,20) per accostarci al Padre con «piena libertà» (10,19).
Di annunciare
I discepoli non capiscono subito il regalo che stanno ricevendo. Il loro malcelato desiderio è che sia ancora Dio a compiere qualcosa per Israele. Anche noi viviamo spesso questo atteggiamento un po’ irresponsabile che si aspetta dal cielo un ulteriore segno, e non comprende che Dio desidera farci assumere fino in fondo la responsabilità di essere «testimoni» del suo amore «fino ai confini della terra» (At 1,8). Basiti come i primi apostoli, spesso rimaniamo col naso all’insù «a guardare il cielo» (1,11), imbambolati e impauriti, e non ci rendiamo conto che il Signore ci ha già rinnovato il contratto, riaffidandoci la sua missione. Prima di sottrarsi al loro sguardo, spiega il Maestro ai discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». (Lc 24,46-48). La salvezza cristiana non è solo che Gesù è morto e risuscitato, ma che nel nome suo può essere annunciata a tutti la conversione e il perdono dei peccati. Mentre Cristo sale al cielo, nasce l’annuncio universale che il cielo stesso può finalmente entrare nel cuore dell’uomo, per rendere la sua vita libera dagli inganni del male e purificata dalla «cattiva coscienza» (Eb 10,22). Il Dio fatto carne porta davanti a sé la nostra umanità per assicurarci che non esiste più alcuna sconfitta irreparabile per coloro che sono stati acquistati a prezzo di un così grande amore. La tenerezza di un Padre che ci attende e ci accoglie sempre è la forza donata a ogni persona per potersi differenziare dai propri egoismi e dai propri fallimenti. Ed è straordinario che siano poveri uomini — uguali a tutti gli altri — a ricevere il compito di annunciare questo amore.
Di rimanere
Prima di partire, fare, sbrigare, i discepoli — sempre — sono però invitati dal Signore a rimanere là dove sono: «Voi restate in città, finché non siate rivestìti di potenza dall’alto» (Lc 24,49). Capire l’Ascensione significa accettare di doversi giocare pienamente la vita in quella porzione di tempo e spazio in cui la provvidenza di Dio ci ha posto, là dove ci troviamo ora. Non dove sarebbe bello essere, dove poteva capitarci di andare, dove gli altri sembrano stare meglio di noi. Qui, ora, si compie per ogni cristiano la chiamata ad accogliere la responsabilità di una testimonianza di fronte al mondo. Questo è l’ultimo, splendido significato dell’Ascensione. Il Signore se ne è andato per poter moltiplicare e intensificare la sua presenza, facendo diventare la nostra umanità il segno umile e vero della sua presenza. Noi con le nostre vite talvolta assai sbiadite possiamo diventare il sorriso di Dio nella storia, la voce della sua verità nella vita del mondo. Attraverso di noi il volto del Padre si può manifestare ovunque, a tutti, senza confini. Noi che sbagliamo ancora, eppure rimaniamo uniti al Signore, attraverso la sua Parola, i Sacramenti, la vita della Chiesa e l’impegno nel mondo. Noi che spesso ci sentiamo deboli, inadeguati, nudi e poveri, ma abbiamo «piena libertà» di poterci rivestire sempre della fedeltà di Dio. Noi che possiamo vivere «senza alcuna relazione con il peccato» (Eb 9,28), non perché immuni da esso, ma perché continuamente perdonati da un Dio che è amore. Noi, proprio noi, chiamati oggi ad abbassare lo sguardo dal cielo, per cercare e incontrare negli altri quei fratelli a cui annunciare la possibilità di una vita nuova. Umilmente.